venerdì 19 settembre 2014

Ella ha già tutto dentro di sé...



"Nell'Annunciazione senza-angelo di Antonello, la Vergine ha l'angelo dentro di sé. E questa credo che sia la ragione di massima modernità di quest'opera, con la figura che nella sua solitudine stringe in sé l'altro elemento. Ecco allora spiegato il senso del movimento della mano: intercettare la parola dell'angelo.Che è parola, appunto: non apparizione non corpo. E il velo serrato sul capo come un chador segna come una chiusura che è già in grembo, che è già il Gesù che è dentro di lei, mentre l'altra mano stringe il velo quasi a sigillare questa pienezza. E incornicia il bellissimo volto facendone risaltare la trasparenza meravigliosa, simile a quella del marmo pario usato dagli scultori della Magna Grecia. Sublime trasparenza di una pelle che così rivela, e al tempo stesso celebra, il frutto divino che già contiene."

( Vittorio Sgarbi, "Piene di Grazia; I volti della donna nell'arte", Bompiani)

mercoledì 28 maggio 2014

" Avrebbe potuto costruire un suo universo usando solo ciottoli e paglia"

Nel senso di miracoli veri e propri, non ce ne sono tanti attribuiti a San Tommaso d'Aquino come nelle vite di altri santi persino meno autorevoli; sono però di provata autenticità; perché lui era un uomo pubblico molto in vista e, cosa che gioca a suo favore, aveva una quantità di nemici di grande credibilità in grado di vagliare le sue affermazione. C'è almeno un miracolo di guarigione, quello di una donna che aveva toccato la sua veste; e molti episodi che possono essere considerati delle varianti della storia del crocifisso di Napoli. Tuttavia una di queste storie è di particolare rilevanza in quanto ci porta in un ambito più privato; più personale e persino più profondo della sua vita religiosa: quello che si esprime attraveerso la poesia. Quando era a Parigi, gli altri dottori della Sorbona lo misero di fronte al problema della natura della trasformazione mistica degli elementi dell'eucarestia, e lui mise per iscritto, come era solito fare, una spiegazione razionale ed esauriente della sua interpretazione. È superfluo dire che avvertì con sincero candore il peso della responsabilità di un verdetto del genere e, pare che gli abbia causato maggiore preoccupazione di quanto gliene causasse di solito il suo lavoro. Pregò Iddio più a lungo del consueto affinché lo illuminasse e infine, con uno dei pochi ma sensazionali gesti che hanno contraddistinto le svolte della sua vita, gettò la sua relazione sull'altare ai piedi del crocifisso e la lasciò come in attesa di giudizio. Poi si volse, scese i gradini dell'altare e si immerse nuovamente nella preghiera. Ma pare che gli altri frati siano rimasti a guardare, il che è molto verosimile perché in seguito affermarono che la figura di Cristo fosse scesa dalla croce davanti ai loro occhi e si fosse fermata in piedi sulla pergamena, dicendo: " Tommaso, ciò che hai scritto sul sacramento del mio corpo è la verità". Si dice che fu a seguito di questa visione che il suo corpo si è sollevato miracolosamente a mezz'aria. Un acuto osservatore contemporaneo di Tommaso d'Aquino disse che lui " Potrebbe ricostruire tutta la filosofia, se venisse distrutta da un incendio". È ciò che si intende quando si dice che era un uomo singolare, una mente creativa, e che avrebbe potuto costruire un suo universo usando solo ciottoli e paglia, facendo a meno anche dei manoscritti di Aristotele e Agostino.

( Estratto della grande biografia su San Tommaso d'Aquino, scritta da Gilbert Keith Chesterton)

venerdì 25 aprile 2014

La persona umana. Ragione intelligenza, amore

La persona umana non è, d'altra parte, soltanto ragione e intelligenza, che pur ne sono elementi costitutivi. Porta dentro di sé, iscritto nel più profondo del suo essere, il bisogno di amore, di essere amata e di amare a sua volta. Perciò si interroga e spesso si smarrisce di fronte alle durezze della vita, al male che esiste nel mondo e che appare tanto forte e, al contempo, radicalmente privo di senso. In particolare nella nostra epoca, nonostante tutti i progressi compiuti, il male non è affatto vinto; anzi, il suo potere sembra rafforzarsi e vengono presto smascherati tutti i tentativi di nasconderlo, come dimostrano sia l'esperienza quotidiana sia le grandi vicende storiche. Ritorna dunque, insistente, la domanda se nella nostra vita ci possa essere uno spazio sicuro per l'amore autentico e, in ultima analisi, se il mondo sia davvero l'opera della sapienza di Dio. Qui, molto più di ogni ragionamento umano, ci soccorre la novità sconvolgente della rivelazione biblica: il Creatore del cielo e della terra, l'unico Dio che è la sorgente di ogni essere, questo unico "Logos" creatore, questa ragione creatrice, sa amare personalmente l'uomo, anzi lo ama appassionatamente e vuole essere a sua volta amato. Questa ragione creatrice, che è nello stesso tempo amore, dà vita perciò a una storia d'amore con Israele, il suo popolo, e in questa vicenda, di fronte ai tradimenti del popolo, il suo amore si mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l'amore che perdona al di là di ogni limite. In Gesù Cristo un tale atteggiamento raggiunge la sua forma estrema, inaudita e drammatica: in Lui infatti Dio si fa uno di noi, nostro fratello in umanità, e addirittura sacrifica la sua vita per noi. Nella morte in croce - apparentemente il più grande male della storia -, si compie dunque "quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale", nel quale si manifesta cosa significhi che "Dio è amore" (1 Gv 4, 8) e si comprende anche come debba definirsi l'amore autentico (cfr Enc. Deus caritas est, nn. 9-10 e 12).
Proprio perché ci ama veramente, Dio rispetta e salva la nostra libertà. Al potere del male e del peccato non oppone un potere più grande, ma - come ci ha detto il nostro amato Papa Giovanni Paolo II nell'Enciclica Dives in misericordia e, da ultimo, nel libro Memoria e identità, il suo vero testamento spirituale - preferisce porre il limite della sua pazienza e della sua misericordia, quel limite che è, in concreto, la sofferenza del Figlio di Dio. Così anche la nostra sofferenza è trasformata dal di dentro, è introdotta nella dimensione dell'amore e racchiude una promessa di salvezza. Cari fratelli e sorelle, tutto questo Giovanni Paolo II non lo ha soltanto pensato, e nemmeno soltanto creduto con una fede astratta: lo ha compreso e vissuto con una fede maturata nella sofferenza. Su questa strada, come Chiesa, siamo chiamati a seguirlo, nel modo e nella misura che Dio dispone per ciascuno di noi. La croce ci fa giustamente paura, come ha provocato paura e angoscia in Gesù Cristo (cfr Mc 14, 33-36): essa però non è negazione della vita, da cui per essere felici occorra sbarazzarsi. È invece il "sì" estremo di Dio all'uomo, l'espressione suprema del suo amore e la scaturigine della vita piena e perfetta: contiene dunque l'invito più convincente a seguire Cristo sulla via del dono di sé. Qui mi è caro rivolgere un pensiero di speciale affetto alle membra sofferenti del corpo del Signore: esse, in Italia come ovunque nel mondo, completano quello che manca ai patimenti di Cristo nella propria carne (cfr Col 1, 24) e contribuiscono così nella maniera più efficace alla comune salvezza. Esse sono i testimoni più convincenti di quella gioia che viene da Dio e che dona la forza di accettare la croce nell'amore e nella perseveranza.
Sappiamo bene che questa scelta della fede e della sequela di Cristo non è mai facile: è sempre, invece, contrastata e controversa. La Chiesa rimane quindi "segno di contraddizione", sulle orme del suo Maestro (cfr Lc 2, 34), anche nel nostro tempo. Ma non per questo ci perdiamo d'animo. Al contrario, dobbiamo essere sempre pronti a dare risposta (apo-logia) a chiunque ci domandi ragione (logos) della nostra speranza, come ci invita a fare la prima Lettera di San Pietro (3, 15), che avete scelto assai opportunamente quale guida biblica per il cammino di questo Convegno. Dobbiamo rispondere "con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza" (3, 15-16), con quella forza mite che viene dall'unione con Cristo. Dobbiamo farlo a tutto campo, sul piano del pensiero e dell'azione, dei comportamenti personali e della testimonianza pubblica. La forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei primi secoli tra una fede amica dell'intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall'amore reciproco e dall'attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico-romano. Così è avvenuto anche in seguito, in diversi contesti culturali e situazioni storiche. Questa rimane la strada maestra per l'evangelizzazione: il Signore ci guidi a vivere questa unità tra verità e amore nelle condizioni proprie del nostro tempo, per l'evangelizzazione dell'Italia e del mondo di oggi. Vengo così ad un punto importante e fondamentale, cioè l'educazione.

( Benedetto XVI al Convegno Ecclesiale di Verona, nell'ottobre del 2006.)

martedì 4 febbraio 2014

Dostoevskij: Italia, "Regno di second'ordine"


[...] in tutto il secolo vi sono state intelligenze diplomatiche assai astute, intriganti, con la pretesa della più reale comprensione delle cose e intanto nessuno di essi ha visto mai niente oltre la punta del proprio naso e degli interessi correnti (tra l’altro i più superficiali ed erronei). Riattaccare i fili strappatisi, mettere una toppa ad un buco, "accrescere il prezzo di qualche cosa, indorare la merce per farla sembrare nuova", ecco il nostro compito, ecco il nostro lavoro! Tutto ciò ha una ragione, e secondo me la principale è la separazione dei princìpi, la separazione dal popolo e l’isolamento delle menti diplomatiche in una sfera per così dire troppo mondana e astratta dall’umanità. Prendete, per esempio, il conte di Cavour — non è un’intelligenza, non è un diplomatico? Io prendo lui come esempio perché ne è già riconosciuta la genialità e inoltre perché è già morto. Ma che cosa non ha fatto, guardate un po’; oh sì, ha raggiunto quel che voleva, ha riunito l’Italia e che ne è risultato: per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno unito di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, cedendola al più logoro principio borghese — la trentesima ripetizione di questo principio dal tempo della prima rivoluzione francese — un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!
Fëdor Michailovic Dostoevskij

martedì 7 gennaio 2014

Virtù o fortuna?

A torto il genere umano si duole della propria natura perché, debole e di breve durata, è dominata più dal caso che dal valore. Se si vi riflette, al contrario, non si troverà al mondo cosa più alta e mirabile; ciò che manca alla natura umana non è il bigore, non è il tempo, è la costanza nell’operare. La vita dell’uomo scorre sotto la guida, il dominio dello spritio e quando, percorrendo il sentiero della virtù, procede verso la gloria, possiede forza, ptoere, fama, fortuna; ma, del resto, non c’è bisogno di fortuna, poiché non è essa che possa infondere onestà e tenacia o altre doti morali ad alcuno né toglierle a chi le ha. Ma se, schiavo di basse cupidige, l’uomo affonda nell’ozio e nel piacere dei sensi, dopo essersi giovato per breve tempo di voluttà deleterie e aver dissipato neghittosamente in esse forza, tempo e ingegno, allora se la prende con la debolezza della natura: ciascuno, infatti, imputa le proprie colpe alle circostanze. Ma se gli uomini dedicassero al bene l’impiego che mettono nella ricerca di cose disdicevoli, inutili e spesso anche pericolose e dannose, anziché trovarsi in balia dei casi della vita sarebbero loro a dominarli; e raggiungerebbero tale eccellenza da diventare, per loro gloria, da mortali a immortali.Dato infatti che gli esseri umani si compongono di corpo e anima, tutte le nostre inclinazioni tendono o alla natura del primo o a quella della seconda: bellezza, ricchezza, vigore e altre cose del genere sfumano rapidamente, ma le opere egrege dell’igegno sono, come l’anima, eterne. I pregi del corpo, i doni della fortuna, come hanno avuto un inizio, così avranno una fine; tutto ciò che nasce muore, tutto ciò che cresce declina. Ma lo spirito incorrotto, eterno, signore del genere umano, muove e regola ogni cosa e nulla può dominare su di esso. Tanto più dunque, suscita sbigottimento la perversità di coloro che, dediti ai piaceri dei sensi, trascorrono l’esistenza nel soddisfarli e, senza far nulla, lasciano intorpidire nell’ignoranza, senza esercitarli, l’intelligenza, che rappresenta ciò che la natura umana possiede di più nobile...

Sallustio, La guerra giugurtina

giovedì 26 dicembre 2013

Perché Dio si è incarnato se Egli è sommo Bene per essenza?

1.Essendo Dio dall‘eternità lo stesso bene per essenza, è cosa ottima che rimanga quello che da sempre è stato. Ma Dio è sempre stato assolutamente immateriale. Sarebbe stato dunque convenientissimo che egli non si fosse unito alla carne. Perciò l‘incarnazione divina non era conveniente.
2. Non è conveniente unire tra loro cose infinitamente distanti, come non lo sarebbe il combinare insieme in una pittura la faccia di un uomo con un collo di cavallo [cf. Orazio, De arte poet. 1 s.]. Ma Dio e la carne distano all‘infinito, poiché Dio è semplicissimo mentre la carne è composta, soprattutto quella umana. Era dunque sconveniente che Dio si unisse alla carne umana.
3. Tanto dista un corpo da uno spirito purissimo quanto il peccato dalla somma bontà. Ora, sarebbe stato del tutto sconveniente che Dio, bontà suprema, assumesse il peccato. Non era dunque conveniente che il sommo spirito increato assumesse un corpo.
4. Non si può costringere in termini minimi chi supera ogni misura, né può dedicarsi ai piccoli compiti chi è impegnato nei grandi. Quindi non sta bene, per usare le parole di Volusiano a S.Agostino [Epist. 135], «che nel corpicino di un bimbo in fasce si nasconda colui al quale non basta l‘universo; e che il grande Sovrano abbandoni i suoi cieli, trasferendo a un solo minuscolo corpo il governo di tutto il mondo».
In contrario: È convenientissimo che le realtà visibili mostrino quelle divine invisibili; per questo fine infatti è stato creato il mondo, come asserisce l‘Apostolo [Rm 1, 20]: «Le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l‘intelletto nelle opere da lui compiute». Ma il mistero dell‘incarnazione, dice il Damasceno [De fide orth. 3, 1], «rivela insieme la bontà, la sapienza, la giustizia e la potenza di Dio: la bontà, poiché egli non disdegnò la debolezza della sua creatura; la giustizia, poiché fece sconfiggere il demonio proprio da colui che ne era stato vinto, e strappò l‘uomo dalla morte senza forzare la sua libertà; la sapienza, poiché trovò la soluzione più adatta in una situazione difficilissima; l‘infinita potenza o virtù, infine, poiché non c‘è nulla di più grande di un Dio fatto uomo». Era dunque conveniente che Dio si incarnasse.
 Dimostrazione: A ciascuna cosa è conveniente ciò che è secondo la sua natura: come all‘uomo il ragionare, essendo egli per sua natura ragionevole. Ma la natura di Dio è la bontà stessa, come spiega Dionigi [De div. nom. 1]. Perciò conviene a Dio tutto ciò che è proprio della bontà. Ora, la bontà tende a comunicarsi, osserva ancora Dionigi [ib. 4]. Di conseguenza alla somma bontà si addice di comunicarsi alla creatura in modo sommo. E ciò avviene precisamente quando Dio «unisce a sé una natura creata in modo che una sola persona risulti di tre elementi: il Verbo, l‘anima e la carne», come dice S. Agostino [De Trin. 13, 17]. È chiaro dunque che l‘incarnazione di Dio era conveniente.
Analisi delle obiezioni:
1. Il mistero dell‘incarnazione non si è attuato per un qualche cambiamento nell‘eterna condizione di Dio, ma in quanto egli in modo nuovo si unì alla creatura, o meglio unì a sé la creatura. Ora, è conveniente che la creatura, mutevole di per se stessa, non si mantenga sempre nel medesimo stato. Come quindi fu prodotta nell‘essere non essendo esistita prima, così fu conveniente che non essendo stata prima unita a Dio, in seguito fosse a lui unita.
2. L‘unione con Dio nell‘unità della persona non si addiceva alla carne umana in forza della sua natura, poiché ciò oltrepassava il suo ordine. Si addiceva tuttavia a Dio, per l‘infinita eccellenza della sua bontà, che egli unisse a sé questa carne per la nostra salvezza.
3. Ogni condizione che differenzia le creature dal Creatore fu stabilita dalla sapienza di Dio e ordinata alla manifestazione della sua bontà: infatti Dio, non creato, non mutevole, non corporeo, produsse le creature mutevoli e materiali in funzione della sua bontà; e similmente le pene furonointrodotte dalla giustizia di Dio per la sua gloria. Al contrario le colpe vengono commesse con l‘abbandono delle norme della sapienza divina e dell‘ordine della divina bontà. Perciò Dio poteva assumere convenientemente una natura creata, mutevole, corporea e passibile; non invece il male della colpa.
4. Rispondiamo con le stesse parole di S. Agostino a Volusiano [Epist. 137, 2]: «La dottrina cristiana non insegna che Dio, calandosi nella carne umana, ha abbandonato o perduto il governo dell‘universo, oppure lo ha come ristretto in quel minuscolo corpo: questa è l‘immaginazione di uomini capaci di pensare solo alle realtà materiali. Ora, Dio è grande non per la mole, ma per la potenza: quindi la sua grandezza, raccogliendosi nelle piccole cose, non ne sente disagio. Come infatti il nostro fugace parlare viene ascoltato in un medesimo istante da molti e arriva a ciascuno per intero, così non è incredibile che l‘eterno Verbo divino sia contemporaneamente tutto intero in ogni luogo». E così non deriva alcun inconveniente dall‘incarnazione di Dio.


( Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Tertia pars, Argomento I, Articolo I)

sabato 7 dicembre 2013

AMARE...

Amare senza nulla chiedere,
amare per rinnegare se stesso,
amare per donare,
amare per essere deriso,
amare per sentirsi umiliato:
Ecco il Cristo,
il Figlio del Dio vivente.
Amò,
ama,
amerà te,
uomo,
sino alla morte
e alla morte di croce.
Uomo,
amalo.
È colui che è,
è colui che sa donare,
è colui che ti chiede solo un po' di amore.
Uomo,
daglielo.
Te lo chiede lui,
il tuo Gesù.
Colui che patì
per amor tuo.
Colui che seppe soffrire.
Colui che si donò
sino alla morte 
e alla morte di croce.
Uomo,
amalo almeno un po'.
Non vedi?
Ti chiama.
Ti chiama per mezzo di Pietro.
Ti chiama per mezzo degli Apostoli.
Ti chiama attraverso i suoi amici,
coloro che sanno amare,
coloro che sanno donare,
coloro che nulla chiedono:
solo una croce,
una croce d'amore,
solo uno sputo,
uno sputo per portare 
il loro amico a Gesù.
Uomo,
cambia la tua vita.
Uomo,
amalo.
Uomo,
convertiti e credi al Vangelo.

Maria Marino