martedì 24 luglio 2012

Se i termini numerici pongano qualcosa in Dio...

Dice S. Ilario [De Trin. 4, 17]: «Professare il consorzio [divino] », che equivale a confessare la pluralità, «esclude l‘idea dell‘isolamento e della solitudine». E S. Ambrogio [De fide 1, 2] afferma: «Quando diciamo che Dio è uno, l‘unità esclude la pluralità degli dèi, ma non pone in Dio alcuna quantità». Dal che si vede che questi termini sono usati in senso negativo, non in senso positivo.

Dimostrazione: Il Maestro delle Sentenze [1, 24] afferma che i termini numerici non pongono nulla, ma soltanto escludono qualcosa in Dio. Altri invece dicono il contrario. Per mettere in chiaro la cosa si osservi che qualsiasi pluralità è effetto di una divisione. Ora, vi sono due tipi di divisione. Una è quella materiale, che si ha dividendo una quantità continua: e da questa sorge il numero, che è una delle specie in cui si suddivide la quantità. E un simile numero non si dà che nelle cose materiali dotate di quantità. L‘altra è la divisione formale, che risulta da forme diverse e opposte: e conseguenza di questa divisione è la pluralità, la quale non è limitata a un genere, ma appartiene ai trascendentali, in quanto l‘ente può essere uno e molteplice. Ora, nelle realtà immateriali si trova solo questa pluralità. Alcuni dunque, non badando se non alla pluralità che è una specie della quantità discreta, e vedendo che questa in Dio non c‘è, dissero che i termini numerali in Dio non pongono, ma soltanto escludono qualcosa. — Altri invece, avendo di mira questa stessa pluralità [quantitativa], affermarono che, come la scienza viene posta in Dio solo secondo la sua natura specifica, ma non secondo la natura del genere [a cui appartiene], dato che in Dio non esistono qualità, allo stesso modo si porrebbe in Dio il numero secondo la natura propria del numero, ma non secondo quella del genere a cui appartiene, cioè della quantità. Noi invece diciamo che i termini numerici, in quanto vengono applicati a Dio, non derivano dal numero che forma una delle specie della quantità — perché allora verrebbero attribuiti a Dio solo in senso metaforico, come le altre proprietà dei corpi, quali la larghezza, la lunghezza e simili —, ma derivano dal numero preso come trascendentale. Ora, tale numero sta alle cose a cui viene attribuito come l‘uno che si identifica con l‘ente sta all‘ente. Ma come si è detto sopra [q. 11, a. 1] parlando dell‘unità di Dio, l‘unità non aggiunge all‘ente altro che la negazione della divisione: poiché uno significa ente indiviso. Quindi di qualsiasi cosa esso si predichi, significa che quella cosa è indivisa: come quando si dice che l‘uomo è uno si intende che la sua natura o sostanza è indivisa. E per la stessa ragione, quando si parla di un numero di cose, il numero così indicato significa quelle date cose e la loro rispettiva indivisione. — Invece il numero che è una delle specie della quantità
indica un determinato accidente che si aggiunge all‘ente [numerato]; e così si dica dell‘unità che è principio del numero. Quindi in Dio i termini numerali significano le realtà a cui vengono attribuiti e non aggiungono altro che una negazione, come si è spiegato; e in ciò ha ragione il Maestro delle Sentenze. Così quando diciamo che è una l‘essenza, l‘unità significa che l‘essenza è indivisa; quando diciamo che è una la persona, [l‘unità] significa la persona indivisa; quando poi diciamo: vi sono più persone, indichiamo le stesse persone e le loro rispettive indivisioni: poiché è proprio della molteplicità essere composta di unità. Analisi delle obiezioni: 1. L‘unità, essendo uno dei trascendentali, è un termine più universale che sostanza e relazione: e lo stesso si dica della pluralità. Quindi in Dio esso può indicare sia la sostanza che la relazione, secondo che viene aggiunto all‘una o all‘altra. Tuttavia con questi termini [unità e pluralità], stante il loro significato proprio, viene aggiunta all‘essenza e alla relazione una certa negazione della divisione, come si è spiegato [nel corpo].

(S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae)

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