S. Agostino [De fide ad Petrum 1] dice: «Una è l‘essenza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, nella quale non è altra cosa il Padre, altra cosa il Figlio, altra cosa lo Spirito Santo; sebbene come persona altro sia il Padre, altro il Figlio, altro lo Spirito Santo». Dimostrazione: Siccome, al dire di S. Girolamo [cf. P. Lomb., Sent. 4, 13], col parlare impreciso si finisce col cadere nell‘eresia, parlando della SS. Trinità bisogna procedere con cautela e modestia: poiché, secondo S. Agostino [De Trin. 1, 3], «in nessun altro argomento l‘errore è più pericoloso, più faticosa la ricerca, più fruttuosa la scoperta». Ora, quando trattiamo della Trinità dobbiamo evitare, stando nel giusto mezzo, due opposti errori: quello di Ario, che poneva con la trinità delle persone anche una trinità di nature, e quello di Sabellio, che poneva con l‘unità di natura anche l‘unità di persona. Per sfuggire all‘errore di Ario dobbiamo evitare, parlando di Dio, i termini diversità e differenza, per non compromettere l‘unità dell‘essenza; possiamo invece usare il termine distinzione, data l‘opposizione relativa [delle persone]. Per cui, se in qualche testo autentico della Scrittura ci imbattiamo nelle parole diversità o differenza applicate alle persone divine, le dobbiamo intendere come significanti distinzione. Per non ledere dunque la semplicità dell‘essenza divina sono da evitare i termini separazione e divisione, proprie di un tutto suddiviso in parti. Per non compromettere poi l‘uguaglianza è da evitare la parola disparità. E infine per non sopprimere la somiglianza si devono evitare i termini alieno e discrepante. S. Ambrogio [De fide 1, 2] infatti dice che nel Padre e nel Figlio «vi è un‘unica divinità senza discrepanza». E S. Ilario, come si è riferito [ob. 3], afferma che in Dio «non c‘è nulla di alieno e nulla di separabile». Per non cadere poi nell‘errore di Sabellio dobbiamo evitare il termine singolarità, al fine di non negare la comunicabilità dell‘essenza divina: per cui, secondo S. Ilario [l. cit.], «è sacrilego dire che il Padre e il Figlio sono un Dio singolare [isolato]». E dobbiamo anche evitare il termine unico, per non escludere il numero delle persone: per cui S. Ilario [l. cit.] afferma che «da Dio si esclude il concetto di singolarità e di unicità». Possiamo tuttavia dire unico Figlio: poiché in Dio non ci sono più Figli; non possiamo però dire unico Dio: poiché la deità è comune a più [persone]. Evitiamo anche l‘aggettivo confuso, per non togliere l‘ordine di natura tra le persone: cosicché S. Ambrogio [l. cit.] può affermare: «Né ciò che è uno è confuso, né può essere molteplice ciò che non ammette differenza». Si deve anche evitare il termine solitario, per non distruggere la società delle tre persone. Dice infatti S. Ilario [De Trin. 4, 18]: «Dobbiamo confessare che Dio non è solitario, né diverso»
Ora, il termine alius [altro], usato al maschile, non comporta se non la distinzione del soggetto: perciò possiamo correttamente dire che il Figlio è un altro rispetto al Padre: poiché è un altro soggetto della natura divina, com'è un'altra persona e un'altra ipostasi.
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