domenica 19 agosto 2012

Pietà di Michelangelo



Solo una Madre china su suo figlio
L’intuizione del Buonarroti è dipingere una Madonna più giovane dello stesso Gesù, trasformando la scena sacra in un’apologia dell’amore materno. Che parla a tutti
L’esordio di Michelangelo in Vaticano, nello spazio della basilica di San Pietro, è con la Pietà. Non c’è nessun dubbio che essa rappresenti un’assoluta novità. Con una leggerezza, e un’armonie di forme senza precedenti. Ma tanto più sorprendente perché concepita ancora nel Quattrocento. Michelangelo era arrivato a Roma nel 1946. Attraverso il banchiere Jacopo Galli conobbe il cardinale francese Jean Villier, l’ambasciatore di Carlo VII presso Papa Alessandro VI, che gli commissionò la Pietà per il proprio monumento funebre di Santa Petronilla. Il contratto fu stipulato nell’agosto del 1498 e l’opera consegnata un anno dopo. L’orgoglio del primo capolavoro conduce Michelangelo a mettere la firma sul nastro a tracollo dell’abito della Vergine.
La perfezione raggiunta apparve subito irripetibile ed inimitabile, se Vasari nel 1590 scrive: “ Non pensi mai sculture ne artefice raro, potere aggiungere di disegno ne di grazia, ne con fatica potere mai di finezza, pulitezza, ne di straforare il marmo tanto con arte, quanto Michelangelo vi fece, perché si scorge in quella tutto il valore e il potere dell’arte”.
Forse per questo mai collocata in Santa Petronilla, la Pietà, nel 1517 è nella sacrestia della Basilica di San Pietro da cui, dopo altri spostamenti, fu sistemata nella prima cappella della navata destra dove patì, nel 1972 , un’aggressione vandalica da parte di un esaltato, che la martellò in diversi punti. Il restauro reintegrativo non concesse nulla al gusto allora imperante, al frammento e al feticismo dell’originale. I numerosi calchi dell’opera guidarono l’intervento. Le fonti di Michelangelo sono sculture largamente diffuse in Italia, di provenienza tedesca, gruppi di pietra o di legno denominati “ vesperbild” perché legati alle celebrazioni del Venerdì Santo: lo schema è identico, con la Vergine vestita e il Cristo morto nudo in braccio.
Ma quella spigolosa nitidezza si trasforma in Michelangelo in una dolcezza senza fine, un’umanissima meditazione della giovane donna sul figlio morto. Non si può escludere che Michelangelo, oltre alla iconografia dei “ vesperbild”, avesse meditato, quando fu a Bologna nel 1494, anche sui compianti in terracotta emiliani, in particolare su quello di Nicolò dell’Arca di Santa Maria della Vita. Ma, di queste fonti d’ispirazione nulla resta nella elaborazione di Michelangelo che inventa un’immagine viva e nuova nel rapporto fra il corpo abbandonato del Cristo senza vita, con le gambe e il braccio inerti, e quello ampio e avviluppato degli abiti della madre che lo osserva, dolente e incredula. Ma è qui l’intuizione di Michelangelo, che ci mostra una madre più giovane dello stesso figlio, trasformando la Pietà in una maternità.
La vergine continua ad essere quella che teneva in braccio il bambino, anche nel momento estremo della morte. Madre, senza tempo. Piena di grazia ma con disperata dolcezza, la Madre contempla il figlio che da lei nacque e che a lei ritorna.
La tragedia si stempera nella morbidezza nelle forme, e nelle infinite pieghe nelle vesti. Più nulla della rigidezza delle nordiche Pietà e,  soltanto nel volto sfinito della Vergine, irrimediabile amore. Ad un artista come Jean Fabre non restava che duplicare il capolavoro di Michelangelo, rovesciandone il senso dalla vita alla morte, sostituendo al volto ideale della Vergine un teschio.

(Vittorio Sgarbi, I tesori dell'arte italiana)
Fonte: vatican.va

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