Solo una Madre china
su suo figlio
L’intuizione del Buonarroti è dipingere una Madonna più
giovane dello stesso Gesù, trasformando la scena sacra in un’apologia
dell’amore materno. Che parla a tutti
L’esordio di Michelangelo in Vaticano, nello spazio della
basilica di San Pietro, è con la Pietà. Non c’è nessun dubbio che essa
rappresenti un’assoluta novità. Con una leggerezza, e un’armonie di forme senza
precedenti. Ma tanto più sorprendente perché concepita ancora nel Quattrocento.
Michelangelo era arrivato a Roma nel 1946. Attraverso il banchiere Jacopo Galli
conobbe il cardinale francese Jean Villier, l’ambasciatore di Carlo VII presso
Papa Alessandro VI, che gli commissionò la Pietà per il proprio monumento
funebre di Santa Petronilla. Il contratto fu stipulato nell’agosto del 1498 e
l’opera consegnata un anno dopo. L’orgoglio del primo capolavoro conduce
Michelangelo a mettere la firma sul nastro a tracollo dell’abito della Vergine.
La perfezione raggiunta apparve subito irripetibile ed
inimitabile, se Vasari nel 1590 scrive: “
Non pensi mai sculture ne artefice raro, potere aggiungere di disegno ne di
grazia, ne con fatica potere mai di finezza, pulitezza, ne di straforare il
marmo tanto con arte, quanto Michelangelo vi fece, perché si scorge in quella
tutto il valore e il potere dell’arte”.
Forse per questo mai collocata in Santa Petronilla, la
Pietà, nel 1517 è nella sacrestia della Basilica di San Pietro da cui, dopo
altri spostamenti, fu sistemata nella prima cappella della navata destra dove
patì, nel 1972 , un’aggressione vandalica da parte di un esaltato, che la
martellò in diversi punti. Il restauro reintegrativo non concesse nulla al
gusto allora imperante, al frammento e al feticismo dell’originale. I numerosi
calchi dell’opera guidarono l’intervento. Le fonti di Michelangelo sono
sculture largamente diffuse in Italia, di provenienza tedesca, gruppi di pietra
o di legno denominati “ vesperbild” perché legati alle celebrazioni del Venerdì
Santo: lo schema è identico, con la Vergine vestita e il Cristo morto nudo in
braccio.
Ma quella spigolosa nitidezza si trasforma in
Michelangelo in una dolcezza senza fine, un’umanissima meditazione della
giovane donna sul figlio morto. Non si può escludere che Michelangelo, oltre
alla iconografia dei “ vesperbild”, avesse meditato, quando fu a Bologna nel
1494, anche sui compianti in terracotta emiliani, in particolare su quello di
Nicolò dell’Arca di Santa Maria della Vita. Ma, di queste fonti d’ispirazione
nulla resta nella elaborazione di Michelangelo che inventa un’immagine viva e
nuova nel rapporto fra il corpo abbandonato del Cristo senza vita, con le gambe
e il braccio inerti, e quello ampio e avviluppato degli abiti della madre che
lo osserva, dolente e incredula. Ma è qui l’intuizione di Michelangelo, che ci
mostra una madre più giovane dello stesso figlio, trasformando la Pietà in una
maternità.
La vergine continua ad essere quella che teneva in
braccio il bambino, anche nel momento estremo della morte. Madre, senza tempo.
Piena di grazia ma con disperata dolcezza, la Madre contempla il figlio che da
lei nacque e che a lei ritorna.
La tragedia si stempera nella morbidezza nelle forme, e
nelle infinite pieghe nelle vesti. Più nulla della rigidezza delle nordiche
Pietà e, soltanto nel volto sfinito
della Vergine, irrimediabile amore. Ad un artista come Jean Fabre non restava
che duplicare il capolavoro di Michelangelo, rovesciandone il senso dalla vita
alla morte, sostituendo al volto ideale della Vergine un teschio.
(Vittorio Sgarbi, I tesori dell'arte italiana)
Fonte: vatican.va
(Vittorio Sgarbi, I tesori dell'arte italiana)
Fonte: vatican.va

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