giovedì 26 dicembre 2013

Perché Dio si è incarnato se Egli è sommo Bene per essenza?

1.Essendo Dio dall‘eternità lo stesso bene per essenza, è cosa ottima che rimanga quello che da sempre è stato. Ma Dio è sempre stato assolutamente immateriale. Sarebbe stato dunque convenientissimo che egli non si fosse unito alla carne. Perciò l‘incarnazione divina non era conveniente.
2. Non è conveniente unire tra loro cose infinitamente distanti, come non lo sarebbe il combinare insieme in una pittura la faccia di un uomo con un collo di cavallo [cf. Orazio, De arte poet. 1 s.]. Ma Dio e la carne distano all‘infinito, poiché Dio è semplicissimo mentre la carne è composta, soprattutto quella umana. Era dunque sconveniente che Dio si unisse alla carne umana.
3. Tanto dista un corpo da uno spirito purissimo quanto il peccato dalla somma bontà. Ora, sarebbe stato del tutto sconveniente che Dio, bontà suprema, assumesse il peccato. Non era dunque conveniente che il sommo spirito increato assumesse un corpo.
4. Non si può costringere in termini minimi chi supera ogni misura, né può dedicarsi ai piccoli compiti chi è impegnato nei grandi. Quindi non sta bene, per usare le parole di Volusiano a S.Agostino [Epist. 135], «che nel corpicino di un bimbo in fasce si nasconda colui al quale non basta l‘universo; e che il grande Sovrano abbandoni i suoi cieli, trasferendo a un solo minuscolo corpo il governo di tutto il mondo».
In contrario: È convenientissimo che le realtà visibili mostrino quelle divine invisibili; per questo fine infatti è stato creato il mondo, come asserisce l‘Apostolo [Rm 1, 20]: «Le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l‘intelletto nelle opere da lui compiute». Ma il mistero dell‘incarnazione, dice il Damasceno [De fide orth. 3, 1], «rivela insieme la bontà, la sapienza, la giustizia e la potenza di Dio: la bontà, poiché egli non disdegnò la debolezza della sua creatura; la giustizia, poiché fece sconfiggere il demonio proprio da colui che ne era stato vinto, e strappò l‘uomo dalla morte senza forzare la sua libertà; la sapienza, poiché trovò la soluzione più adatta in una situazione difficilissima; l‘infinita potenza o virtù, infine, poiché non c‘è nulla di più grande di un Dio fatto uomo». Era dunque conveniente che Dio si incarnasse.
 Dimostrazione: A ciascuna cosa è conveniente ciò che è secondo la sua natura: come all‘uomo il ragionare, essendo egli per sua natura ragionevole. Ma la natura di Dio è la bontà stessa, come spiega Dionigi [De div. nom. 1]. Perciò conviene a Dio tutto ciò che è proprio della bontà. Ora, la bontà tende a comunicarsi, osserva ancora Dionigi [ib. 4]. Di conseguenza alla somma bontà si addice di comunicarsi alla creatura in modo sommo. E ciò avviene precisamente quando Dio «unisce a sé una natura creata in modo che una sola persona risulti di tre elementi: il Verbo, l‘anima e la carne», come dice S. Agostino [De Trin. 13, 17]. È chiaro dunque che l‘incarnazione di Dio era conveniente.
Analisi delle obiezioni:
1. Il mistero dell‘incarnazione non si è attuato per un qualche cambiamento nell‘eterna condizione di Dio, ma in quanto egli in modo nuovo si unì alla creatura, o meglio unì a sé la creatura. Ora, è conveniente che la creatura, mutevole di per se stessa, non si mantenga sempre nel medesimo stato. Come quindi fu prodotta nell‘essere non essendo esistita prima, così fu conveniente che non essendo stata prima unita a Dio, in seguito fosse a lui unita.
2. L‘unione con Dio nell‘unità della persona non si addiceva alla carne umana in forza della sua natura, poiché ciò oltrepassava il suo ordine. Si addiceva tuttavia a Dio, per l‘infinita eccellenza della sua bontà, che egli unisse a sé questa carne per la nostra salvezza.
3. Ogni condizione che differenzia le creature dal Creatore fu stabilita dalla sapienza di Dio e ordinata alla manifestazione della sua bontà: infatti Dio, non creato, non mutevole, non corporeo, produsse le creature mutevoli e materiali in funzione della sua bontà; e similmente le pene furonointrodotte dalla giustizia di Dio per la sua gloria. Al contrario le colpe vengono commesse con l‘abbandono delle norme della sapienza divina e dell‘ordine della divina bontà. Perciò Dio poteva assumere convenientemente una natura creata, mutevole, corporea e passibile; non invece il male della colpa.
4. Rispondiamo con le stesse parole di S. Agostino a Volusiano [Epist. 137, 2]: «La dottrina cristiana non insegna che Dio, calandosi nella carne umana, ha abbandonato o perduto il governo dell‘universo, oppure lo ha come ristretto in quel minuscolo corpo: questa è l‘immaginazione di uomini capaci di pensare solo alle realtà materiali. Ora, Dio è grande non per la mole, ma per la potenza: quindi la sua grandezza, raccogliendosi nelle piccole cose, non ne sente disagio. Come infatti il nostro fugace parlare viene ascoltato in un medesimo istante da molti e arriva a ciascuno per intero, così non è incredibile che l‘eterno Verbo divino sia contemporaneamente tutto intero in ogni luogo». E così non deriva alcun inconveniente dall‘incarnazione di Dio.


( Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Tertia pars, Argomento I, Articolo I)

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